L’età romana

Sala1

Sale 9-10


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Carta archeologica di Cosenza in età romana, con indicazione di alcuni tratti della cinta muraria.

Consentia romana (202 a.C. – 476 d.C.)

La nuova città di epoca romana si sovrappose senza soluzione di continuità a quella di età ellenistica, la capitale dei Brettii, e mantenne quella funzione di nodo viario importante che già aveva nelle epoche precedenti, diventando una tappa intermedia lungo la via consolare romana Popillia-Annia. In età augustea, Cosenza divenne colonia romana col nome di Consentia (o Cosentia) e fu oggetto di una nuova sistemazione urbanistica.

La Consentia romana è tuttora poco conosciuta a causa della mancanza di programmazione nella ricerca e della continuità di vita sullo stesso colle, il Pancrazio. Al suo interno era attraversata da due strade perpendicolari: il cardo con andamento est-ovest e il decumano con andamento nord-sud. All’incrocio di queste due strade doveva trovarsi il Foro, dov’erano i principali edifici di culto e della vita pubblica, ad oggi non ancora localizzato.

Restano invece tracce di ben due edifici termali – uno nei sotterranei di Palazzo Sersale e l’altro all’interno di un palazzo su Via San Tommaso – e di una casa signorile in Piazza A.Toscano. Tratti della cinta muraria realizzata in opus reticulatum, dal perimetro solo ipotizzabile, sono ancora visibili in alcuni punti della città: presso il Convento di S. Francesco d’Assisi, su Via Messer Andrea, sul Lungo Crati Miceli e su Vico Martirano.

Uno degli eventi più famosi per la storia della città riguarda la morte di Alarico, avvenuta nel 410 d.C. nei pressi di Cosenza, forse a causa della malaria. Secondo la leggenda, il re dei Visigoti sarebbe poi stato sepolto nel fiume Busento, con il tesoro del sacco di Roma.

Gli scavi urbani

Molte delle strutture della città ellenistica sopravvissero alla conquista romana e rimasero in uso almeno fino all’età tardo-repubblicana. Solo in età imperiale Cosenza ricevette nuovo impulso edilizio con la costruzione di nuovi monumenti. Ne è un esempio l’edificio termale di Palazzo Sersale, risalente alla seconda metà del I sec. a.C., che venne infatti rinnovato tra I e II sec. d.C.

Dopo il II sec. d.C. l’intera struttura subì una trasformazione, probabilmente in seguito ad un evento traumatico, forse un terremoto, che causò distruzioni e incendi. Se ne hanno indizi anche nei resti di una casa indagata presso l’ex Seminario Arcivescovile, dove fu trovato lo scheletro di un bue rimasto sepolto da un crollo.

Un altro edificio termale, frequentato almeno dal I secolo a.C. fino al IV d.C., delimitato da alcuni muri in opus reticulatum riutilizzati come fondamenta per un palazzo rinascimentale, fu ritrovato su via S. Tommaso. La ricchezza degli ambienti è documentata dai reperti recuperati: lembi d’intonaci dipinti, numerosi frammenti di ampolle di vetro e di ceramica fine. Il rinvenimento della mano sinistra di una statua in marmo, di grandezza superiore al naturale e con un castone di anello all’anulare, attesta l’importanza dell’edificio termale, senza chiarire però se fosse aperto al pubblico o riservato a un’utenza selezionata.

La realtà archeologica più articolata e complessa tra quelle messe in luce nel centro storico di Cosenza, con i suoi 2.000 mq di superficie, è Piazza A.Toscano. Anche qui, come negli altri siti del centro storico, le strutture rimasero in uso dopo la conquista romana, per circa due secoli, per conoscere poi una nuova fase edilizia in età tardo-repubblicana e augustea. In questo periodo l’edificio monumentale di età ellenistica fu parzialmente smantellato e i blocchi di calcarenite riutilizzati per la costruzione di una complessa struttura a pianta rettangolare, con ingresso colonnato. Si trattava probabilmente di una casa (domus), abitata almeno fino al II-III sec. d.C. L’edificio fu esposto a una lenta decadenza fino al IV sec. d.C., subendo in almeno due casi una parziale distruzione, come indiziato da crolli e tracce d’incendio. In età tardo-antica la presenza di quattro sepolture a inumazione, povere di corredo, indica la mutata destinazione d’uso dell’area.

L’area archeologica di Piazza Toscano

La tomba in Contrada Cannuzze

Il vaso (oinophòros), rinvenuto nel 1933 in una tomba a cappuccina in Contrada Cannuzze, conferma il livello culturale e il ruolo di primo piano di Cosenza in età imperiale. Decorato a rilievo su entrambi i lati con soggetti riferibili al culto dionisiaco e importato probabilmente dall’Asia Minore, è databile al III sec. d.C. Insieme ad esso furono recuperati un contenitore cilindrico in bronzo, probabilmente utilizzato come custodia per attrezzi chirurgici, ed una sonda a cucchiaio (cyathiscomela).

Oinophóros con decorazione a rilievo

Il Bruzio in età romana (202 a.C. – 476 d.C.)

Dopo la fine della seconda guerra punica (219-202 a.C.), il Bruzio rimase sotto il controllo dei Romani che in parte distrussero i centri fortificati brettii e posero nuove colonie a controllo del territorio. L’era delle colonie greche era ormai terminata, la regione faceva parte dell’Italia romana ed erano poche le città di una certa importanza. Tra queste le colonie greche Reggio, Vibo Valentia, Copia, Crotone e poi la brettia Consentia. La Regio III, Lucania et Bruttii, una delle undici regioni dell’Italia augustea, comprendeva l’attuale Calabria e parte della Basilicata, ed era amministrata da un governatore,corrèctor, con sede a Reggio (Calabria).

Il Bruzio era collegato col resto della penisola dalla via consolare ab Regio ad Capuam – da Reggio a Capua – nota anche come viaPopillia o Annia, dal nome del costruttore, il cui percorso è ricalcato parzialmente dall’autostrada Salerno-Reggio Calabria.

Il controllo del territorio e lo sfruttamento delle risorse agricole erano inoltre assicurati da una capillare presenza di ville, che divennero ampi latifondi a partire dal II sec. d.C. Gli storici antichi pongono l’accento sulla produzione degli ulivi, dei meli, della vite nella regione e sulla ricchezza dei boschi della Sila, la selva (silva) per eccellenza secondo i Romani, da cui traevano legname e la ricercatissima pece,resina molto apprezzata e destinata a vari usi, in particolare per l’impermeabilizzazione delle costruzioni navali o dei contenitori di terracotta, per sigillare i coperchi dei contenitori per prodotti alimentari (dolii), o impiegata anche in medicina o nella cosmèsi.

Il Bruzio  in epoca romana con la Via Popillia-Annia, la via costiera e i centri maggiori:  1 - Blanda Julia (Tortora) 2 - Cerillae (Cirella) 3 - Copia (già Sybaris e Thurii) 4 - Tempsa (già Tèmesa) 5 - Consentia (Cosenza) 6 - Vibo Valentia (già Hippònion) 7 - Scolacium 8 - Croton (Crotone) 9 - Regium (Reggio Calabria) 10 - Polla

Il Bruzio in epoca romana con la Via Popillia-Annia, la via costiera e i centri maggiori:
1 – Blanda Julia (Tortora) 2 – Cerillae (Cirella) 3 – Copia (già Sybaris e Thurii) 4 – Tempsa (già Tèmesa) 5 – Consentia (Cosenza) 6 – Vibo Valentia (già Hippònion) 7 – Scolacium 8 – Croton (Crotone) 9 – Regium (Reggio Calabria) 10 – Polla

Le lucerne della Grotta “delle Ninfe” di Cerchiara

Nel 1916 la collezione del Museo si è arricchita di oltre un centinaio di lucerne romane rinvenute a Cerchiara, nei pressi della Grotta “delle Ninfe” o del Mulino, antro naturale alle falde del Monte Sellaro, a nord della piana di Sibari. La presenza nella grotta di una sorgente di acqua sulfurea e l’elevato numero delle lucerne fanno pensare che possa trattarsi di un deposito votivo, durato per almeno due secoli (I-II sec. d.C.). Si tratta di lucerne prodotte in serie con stampi (“a matrice”) di varie forme, con disco centrale decorato con soggetti di diverso ambito: sfera religiosa e mito (Atena, Ercole, Pegaso, eroti), trionfo (Vittoria alata, corone di foglie e ghirlande), teatro (maschere), giochi gladiatorii e mondo animale, spesso con significato simbolico. Non mancano i dischi con motivi vegetali o del tutto privi di decorazione. Alcune lucerne, inoltre, recano il marchio della fabbrica che le ha prodotte. Associate alle lucerne sono state trovate 35 monete di bronzo completamente combuste, tanto da renderne impossibile l’identificazione. Solo su due esemplari è visibile una testa di imperatore, attribuibile all’età giulio-claudia (dal 27 a.C. al 68 d.C.) o flavia (dal 69 al 96 d.C.). E’ possibile che esse, come le lucerne, facessero parte delle offerte votive. Tuttavia la loro combustione fa pensare all’eventualità che queste costituissero un gruzzolo sepolto, piuttosto che un’offerta, poiché non è attestato l’uso di bruciare le monete deposte nei santuari.

Le iscrizioni

Le sale romane del Museo espongono anche delle iscrizioni. La prima, rinvenuta alla fine degli anni ’60 del secolo scorso a Cosenza presso la chiesa di S. Maria della Sanità nel quartiere di Portapiana, è nota come stele di Badessa perchè rimasta inglobata per anni nelle mura di contenimento della via Badessa.
Si tratta di una lastra in arenaria che ebbe funzione sepolcrale, in origine verosimilmente di forma rettangolare, con iscrizione comunemente datata, per la forma delle lettere e la mancanza del prenome del dedicante, al III sec. d.C.

Um(m)idiae
Flori Plae to[r]ius
Prim us, matri
[b(ene)] m(erenti)
A Um(m)idia
Fiore, Ple torio
Prim o, alla madre
benemerita

Dalla località Palazzi di S. Lucido (CS) proviene un’altra iscizione acquisita nel 1932 alla collezione del Museo. Vi è incisa una dedica sepolcrale, impreziosita dalla presenza di un verso endecasillabo con espressione di compianto per l’improvvisa scomparsa della defunta. La presenza del verso formulare, che compare anche in altre epigrafi di età imperiale, e la forma delle lettere, permettono di datare l’iscrizione verso la fine del I o nel II sec. d. C.

Dis
Manibus.
[- – -]nae A(uli) Quinti
[- – -] servae, vix(it) an(nis)
XIX,
[sine cri]mine ullo florentes annos
[mors s]ubita eripuit.
[- – -]es contubernali
[opti]mae.
Agli Dei
Mani.
A [- – -]na, di Aulo Quinzio
[- – -] schiava, visse per anni
diciannove,
[senza alcuna col]pa, nel fiore degli anni
[una morte im]provvisa la strappò.
[- – -]e (pose) alla compagna
ottima

Portata recentemente dal Museo Nazionale di Reggio Calabria è un’elegante stele di marmo trovata nel 1903 durante i lavori di fondazione dell’ex Seminario Arcivescovile di Cosenza, immediatamente trafugata e immessa sul mercato clandestino e poi recuperata nel 1927 in Sicilia. E’ datata alla fine del II-inizi del III sec. d.C. e proviene forse dalle coste dell’Asia Minore, di Delo e di Rodi. La scena rappresenta la defunta seduta a sinistra, ammantata e con il capo velato, mentre a destra è una figura maschile. Assistono al commiato un servo, al centro della scena, ed un’ancella, posta accanto alla defunta, con specchio e una cassettina, entrambi raffigurati in proporzioni ridotte. L’iscrizione, in greco, incisa sul listello superiore, recita: “Ia, figlia di Demètrios, salve”.

Come e in che momento essa si sia trovata a Cosenza, rimane un mistero. Potrebbe trattarsi di uno dei tanti spostamenti di monumenti e sculture avvenuti nel corso dei secoli dall’Oriente in Europa e che hanno anche interessato la Calabria, o un pregiato oggetto di reimpiego.

stele romana

stele romana

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