Il monetiere

Sala 10

Sala 10


 La collezione numismatica del Museo di Cosenza è costituita da circa trecento monete d’argento e di bronzo, che si datano dalla fine del VI sec. a.C. al regno di Vittorio Emanuele II di Savoia. Alcuni nuclei di monete provengono da contesti archeologici: è il caso delle monete dalla necropoli in contrada Moio di Cosenza e di quelle dalla Grotta delle Ninfe di Cerchiara. Da ricerche d’archivio è stato possibile riconoscere in un nucleo composto da monete repubblicane d’argento un ripostiglio rinvenuto nel territorio di S. Marco Argentano (CS). Per altri gruppi di monete possediamo soltanto generiche indicazioni di provenienza, da Spezzano Albanese (Torre del Mordillo, CS) e da Bernalda (Metaponto, Tavole Palatine, MT), ma gli eventuali contesti archeologici sono ignoti. Di altri lotti inventariati nella collezione del Museo non si conosce l’origine. La parte più consistente della raccolta è costituita da collezioni private acquistate dal Comune di Cosenza, o donate al Comune negli anni ‘40 del secolo scorso, dal pittore Teofilo Magliocchi di Cosenza, dal Commendator Dottor Francesco Chiaia di Rutigliano, da Giacinto d’Ippolito, direttore del Museo, dal gioielliere Antonio Cinnante. Le monete appartenenti a questi nuclei, che comprendono esemplari databili dal V sec. a.C. all’età moderna, possono essere confrontate con i materiali provenienti dagli scavi archeologici della Sibaritide. Insieme al fatto che spesso il loro stato di conservazione non è ottimo, questo permette di ipotizzare per le collezioni una formazione in larghissima parte locale, piuttosto che l’acquisto sul mercato antiquario internazionale.

 Monete greche

 Le colonie achee d’Italia meridionale (Sibari, Crotone, Metaponto e Caulonia) iniziarono a battere moneta intorno al 540 a.C. Le loro prime emissioni erano costituite da monete d’argento prodotte secondo la tecnica incusa, con il tipo del Dritto in rilievo e il tipo del Rovescio in incavo, e tagliate secondo il sistema “acheo”, con uno statere di circa 8 grammi, diviso in tre dracme. Sono documentate anche frazioni della dracma: oboli e multipli dell’obolo. I tipi scelti dalle città emittenti si riferiscono ai culti locali e ai miti di fondazione: il tripode delfico è usato a Crotone, la spiga di grano a Metaponto, un toro a Sibari, Apollo a Caulonia. Alcune delle emissioni recano dei simboli figurati (cavalletta, delfino, lira, granchio, airone) usati come marchi di controllo. Nelle serie incuse il tondello diventò più stretto e più spesso dalla fine del VI sec. a.C. La tecnica venne abbandonata in favore del doppio rilievo (tipi di entrambe le facce in rilievo) entro la metà del V sec. a.C.

 La monetazione dei Brettii si data agli anni fra 215 e 203 a.C. quando questi erano alleati di Annibale. Era organizzata secondo diverse serie di emissioni, nei tre metalli, oro, argento e bronzo, e tagliata sui sistemi ponderali allora in uso in Italia meridionale e Sicilia. Le serie sono probabilmente state emesse nelle zecche di Consentia, Medma e Hippònion, e forse a Terina, Thoùrioi, Crotone e Petèlia. Le emissioni di metallo prezioso non sono molte, mentre abbondanti sono le serie di bronzo, che comprendono diversi nominali. Le emissioni sono contraddistinte da simboli, usati come marchi di controllo, secondo un uso frequente soprattutto nelle monetazioni emesse in grande quantità nel corso di un breve periodo. I tipi raffigurano le principali divinità del pantheon greco, soprattutto quelle guerriere e quelle marine, in un sistema che combina divinità maschili e femminili sulle due facce della moneta.

 Monete romane repubblicane

 I Romani si servivano dapprima, per misurare il valore ed effettuare pagamenti e scambi, di lingotti di bronzo tagliati sul peso di una libbra (327 g). Tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C., accanto alla produzione di monete di bronzo fuse, anch’esse basate sul peso di una libbra di 280 g circa, iniziarono le emissioni di moneta di argento e di bronzo coniata, probabilmente battuta, nella prima fase, nella zecca di Neàpolis. Negli anni centrali della seconda guerra punica (211 a.C.), con l’introduzione di una nuova moneta d’argento, il denario, si inaugurò un sistema organizzato intorno ad emissioni nei tre metalli, oro, argento e bronzo. Il sistema era basato su una moneta chiamata asse, del peso di circa 54 g, diviso in 12 once, e battuto insieme a multipli e frazioni. Il valore del denario d’argento, del peso di 4.40 g circa, era fissato in 10 assi di bronzo (intorno alla metà del II sec. il denario venne poi ritariffato a 16 assi). Anche il denario era accompagnato da frazioni, il quinario e il sesterzio. Per un breve periodo vennero emesse anche monete d’oro del valore di 60, 40 e 20 assi. Contemporanea alla creazione del denario fu quella del vittoriato, una moneta d’argento meno puro, forse emessa per gli scambi con aree valutarie diverse (quella celtica, secondo un’ipotesi, o quella delle città greche e italiche d’Italia meridionale), i cui tipi sono una testa di Giove al Dritto e una Vittoria che incorona un trofeo al Rovescio. Alle emissioni anonime, che recano solo i tipi, la legenda ROMA e il segno del valore, seguirono serie in cui compaiono simboli, monogrammi e legende che identificano i magistrati monetari, responsabili delle emissioni. Poco dopo ai tipi tradizionali della testa di Roma e dei Dioscuri si affiancarono immagini scelte dagli stessi magistrati monetari, giovani aristocratici all’inizio della loro carriera politica, che apponevano sulle monete raffigurazioni che dovevano ricordare origini e glorie delle loro gentes.

 Tra le monete repubblicane del Museo compaiono denarii, un quinario e vittoriati appartenenti ad un ripostiglio (gruppo di monete deliberatamente sepolte dal propritario in antico) rinvenuto nel territorio di S. Marco Argentano (CS). La moneta più recente si data al 154 a.C., data dopo la quale il ripostiglio è stato seppellito.

 Monete romane imperiali

 Il sistema monetario introdotto alla fine del III sec. a.C. e basato sulle emissioni di bronzo, argento e oro si mantenne stabile, sino alla fine della Repubblica, ma mentre il denario continuò ad essere coniato con regolarità e senza sostanziali modifiche, le emissioni d’oro ebbero un carattere molto più intermittente, e quelle di bronzo nel corso del I sec. a.C. vennero interrotte. Così Augusto, quando salì al potere, attuò una riforma monetaria, stabilendo nuovamente i valori relativi del denario aureo e del denario d’argento, e introducendo nuovi nominali di minor valore, il sesterzio e il dupondio in oricalco (una lega di rame e zinco) e l’asse e il quadrante in rame. Le monete imperiali recano al Dritto la testa o il busto dell’imperatore, accompagnato dalla legenda che riporta il nome e la titolatura imperiale, mentre al Rovescio i tipi ricordano eventi di politica militare, o riproducono monumenti o personificazioni delle virtù imperiali. Le monete erano prodotte a Roma, e in seguito nelle zecche distribuite nelle province dell’impero. Il sistema monetario imperiale fu periodicamente soggetto a riforme, dovute soprattutto alla svalutazione della moneta d’argento, prodotta con una lega meno pura, quando il metallo prezioso non era sufficiente per fare fronte alle necessità di emettere grandi quantità di moneta. Anche il sistema dei nominali divisionali di bronzo fu soggetto a variazioni, in virtù delle quali, nel III sec. d.C., la moneta spicciola fu costituita da esemplari di piccole dimensioni e scarso peso.

 Monete bizantine

 Il sistema monetario inaugurato dall’imperatore bizantino Anastasio nel 498 d.C. prevedeva l’emissione, a fianco dei nominali in metallo prezioso (solidus aureo con le sue frazioni semissis e tremissis, siliqua e in seguito hexagramma e miliaresion d’argento), di nominali di bronzo organizzati intorno ad un nominale principale pari a 1/288 di solidus, il follis, del valore di 40 nummi, con le sue frazioni (da 20, 10, 5 e 1 nummus). Nel corso del tempo i nominali minori di bronzo si fecero più rari e sopravvisse solamente il follis. La circolazione monetaria in età bizantina nella regione di Cosenza, tra la riconquista da parte di Giustiniano I, a partire dal 535 d.C., e la presa dei Normanni a metà dell’XI sec., è rappresentata da un numero esiguo di testimonianze che comprendono monete di metallo prezioso e folles databili fra IX e XI sec. Ai rinvenimenti noti nella letteratura si possono ora aggiungere le monete bizantine della collezione del Museo, folles di IX e X sec. di Leone VI, Costantino VII e Romano I, e folles anonimi di X e XI sec., alcuni esemplari dei quali sono attestati anche da scavi recenti svoltisi a San Sosti.

 Monete medievali

 Mentre nel resto d’Europa e in Italia settentrionale i sistemi monetari, che avevano la loro origine nella riforma di Carlo Magno, erano basati sul denaro (d’argento, d’oro, e in seguito di misture a basso contenuto argenteo), nell’Italia meridionale pre-normanna la moneta in circolazione era costituita dal numerario bizantino e dai denari di Pavia e di Lucca (che erano la valuta principale dello Stato Pontificio); in Sicilia circolava invece la moneta aurea araba, il cui nominale principale era il dinar, diviso in quattro tarì. I Normanni coniavano imitazioni dei tarì arabi, e follari di bronzo. Quando gli Hohenstaufen succedettero ai Normanni nel dominio del sud della penisola, i follari di bronzo vennero sostituiti da denari di mistura di tradizione settentrionale, e al tarì si sostituì l’augustale, più tardi detto reale, introdotto da Federico II nel 1231. Il sistema rimase immutato fino all’ascesa al trono di Carlo I d’Angiò, che nelle zecche di Messina e di Brindisi introdusse nel 1278, accanto ai denari di mistura, monete d’oro e d’argento che presero il nome di carlini. Fra XIII e XV secolo si diffusero i “denari tornesi”, così detti dall’abbazia di S. Martino di Tours dove furono battuti per la prima volta, con i tipi di un castello stilizzato al Dritto, e della croce al Rovescio, battuti in Grecia dagli Angioini, e che ebbero una vasta area di circolazione. Nel 1472 Ferrante sostituì i denari di mistura con monete di bronzo dette cavalli. I tipi delle monete medievali furono nella prima fase ispirati a quelli della moneta bizantina, e a quelli epigrafici delle monete musulmane, e ripresero talvolta anche tipi classici; in seguito si affermarono tipi araldici, con una diffusione degli stemmi delle famiglie imperiali, e più tardi anche delle “imprese”, sigilli o simboli personali dei re, solitamente associati a “motti”.

Le monete medievali e moderne della collezione del Museo di Cosenza trovano confronti nel materiale circolante in Calabria fra XI e XVIII sec. Alcune monete tardomedievali e moderne provengono dagli scavi di Piazza A. Toscano a Cosenza: si tratta di una moneta di Giovanna e Carlo di Spagna, databile al 1516-1519, e di un tesoretto composto da sette monete di Filippo III, di circa un secolo più tarde.

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